Sono tante le riflessioni e le domande che sorgono e che spesso vengono rivolte ai professionisti che si occupano della cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Quesiti a cui i genitori non riescono a trovare risposta.
Alcuni esempi sono:
- Da cosa posso accorgermi che mia figlia ha un disturbo alimentare?
- È sempre la famiglia a sbagliare?
- Non riesco a capire perché non vuole accettare il mio aiuto.
- Noi genitori discutiamo perché non siamo d’accordo su come comportarci.
- Ho letto su internet che non bisogna insistere affinché mangi, ma è giusto assecondarla su cosa e quando mangiare?
- Può essere utile tenere chiuso il bagno o la cucina?
- Ha delle giornate “no” e delle giornate “sì”.
- Ci sono momenti in cui ha delle crisi di pianto e aggressività fortissime, come devo comportarmi?
- Si isola, non mi risponde, non mi parla, la vedo molto triste. Non era così una volta.
- Abbiamo sempre avuto un bel rapporto, perché adesso non mi ascolta più?
- È vero che è un disturbo lungo da curare?
- La famiglia può essere sostenuta nel percorso di guarigione?
Ricordando che la Persona che soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare non è la malattia, ma ha una malattia, la particolarità di ogni individuo impedisce di rispondere a queste domande in maniera generalizzata. Lo spaesamento e la paura che si prova nello stare vicino a queste realtà obbliga però a ragionare sulle questioni riportate precedentemente.
Non potranno essere date dunque delle risposte esaustive che siano risoluzione di tale complessa sofferenza ma le riflessioni offerte vorrebbero essere degli stimoli, dei punti di partenza che possono condurre, chiunque ne abbia la necessità, in particolare i genitori, verso un percorso di sostegno.
IL SINTOMO: LA METAFORA DEL BASTONE
Cerchiamo di capire prima di tutto con che occhi provare a guardare la malattia.
Il sintomo alimentare deve essere considerato come una sorta di bastone, una stampella che la persona utilizza come un appoggio, un appoggio alle fatiche, alle fragilità, alla sofferenza. Attraverso il sintomo, seppur in maniera patologica, la persona riesce ad affrontare il difficile momento evolutivo.
È importante sapere che spesso e soprattutto nei/lle giovani la sintomatologia alimentare manifesta una sofferenza più profonda. Ecco perché risulta fondamentale per i genitori provare a non concentrarsi sul sintomo e sul disturbo credendo di doverlo eliminare subito ma, anche se con grandi difficoltà, bisognerebbe cercare di andare oltre quello che si vede, guardare oltre il corpo sofferente. Ciò non vuol dire sorvolare o trascurare la gravità dello stato in cui si trova il/la figlio/a ma trovare la forza di chiedere aiuto e affidarsi a persone competenti che possano sostenere la sofferenza e individuare un percorso di cura e sostegno adatto per famiglia e persona ammalata.
La famiglia inoltre dovrebbe raggiungere la consapevolezza della durata della cura e del sostegno che richiede questa tipologia di disturbo: bisogna essere coscienti che si tratta un percorso che richiede tempo e pazienza, durante il quale la persona sofferente dovrà trovare le risorse, le strategie, la sicurezza dentro di sé per proseguire la propria strada con le proprie gambe e poter buttare via il “bastone”, quando non ne avrà più bisogno.
Oltre alla coscienza del TEMPO che richiede la guarigione di queste patologie, la differenza possono farla i/le protagonisti/e che intervengono in sostegno della persona coinvolta. Il contributo genitoriale dunque è davvero una preziosa risorsa.
SOSTENERE SENZA COLLUDERE
Un percorso di affiancamento a quello del/la figlio/a, nel quale vengono fornite delle informazioni sulla sintomatologia alimentare e degli strumenti per capire e gestire alcune dinamiche e atteggiamenti che sembrano incomprensibili, risulta un sostegno temporaneo fondamentale per i genitori e allo stesso tempo, indirettamente, uno strumento terapeutico stabile per il/la giovane.
Successivamente a queste fasi, ove si ritenesse necessario, si propone alla famiglia di fare un passo avanti e lavorare sull’individuazione di possibili fattori che hanno portato allo sviluppo di particolari dinamiche familiari coincidenti con l’insorgere del sintomo del/la figlio/a.
Spesso quindi ci si trova ad avere la necessità e la richiesta da parte degli stessi genitori di creare uno spazio per un percorso terapeutico di coppia o individuale. Questa messa in discussione rappresenta per la persona con un disturbo alimentare la prova che le persone a lui/lei vicine si stanno mettendo in gioco sia per il suo bene e che per loro stesse. Come è stato descritto precedentemente il sintomo spesso risponde a delle esigenze auto conservative del sistema famiglia nella sua globalità ed ha quindi una funzione adattiva. Tale manifestazione acquista dunque una doppia valenza: da un lato si sviluppa per comunicare un disagio all’interno del sistema familiare che necessita di cambiamento, dall’altro mantiene l’equilibrio del sistema.
In questo contesto, l’intervento con il nucleo familiare è un’occasione privilegiata per mettere in azione le proprie riaorse: se cambiano le modalità di relazione si modifica anche il comportamento individuale.
Un atteggiamento di apertura, di ascolto, di fiducia è già di per sé terapeutico, al contrario una disposizione verso la malattia giudicante e svalutante e può diventare un fattore di mantenimento o di peggioramento della patologia.
Il primo passo da fare per sostenere chi soffre di questi disturbi è informarsi e quindi farsi aiutare da specialisti/e, cercando di allontanare lo stimolo di intervenire impulsivamente generando pregiudizi e generalizzazioni.
La tempestività, poi, è un altro fattore decisivo per l’efficacia della cura: riconoscere il disturbo, informarsi e riuscire a selezionare un team professionale che possa sostenere un progetto di cura valido riduce la cronicizzazione della patologia, che già di per sè tende ad essere occultata per diverso tempo. Spesso capita di incontrare genitori o familiari che riferiscono che nonostante il breve tempo intercorso tra l’esordio e l’avvio delle cure, affidandosi a non esperti, hanno aggravato la situazione.
La professionalità è un altro elemento fondamentale nella cura, sembra banale ribadirlo ma, in assenza di una competenza specifica sulle sintomatologie alimentari, il rischio è quello di creare nelle persone già confuse e sofferenti, ulteriori pensieri di caos e sfiducia. Inoltre è molto probabile che, in risposta a ciò, i/le pazienti rinforzino i meccanismi di difesa e la sintomatologia alimentare facilitando la cronicizzazione del disturbo.
È importante curare tali patologie attraverso un approccio multidisciplinare che preveda la collaborazione integrata di varie figure terapeutiche (psichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista, dietista) con l’obiettivo di un programma personalizzato adattato alle specifiche esigenze della persona.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
SCOPPETTA Marta, Perchè mia figlia non mangia più?, Roma, Castelvecchi Editore, 2017.
DALLA RAGIONE Laura, GIOMBINI Lucia, Solitudini imperfette, Perugia, 2014.